venerdì 11 aprile 2014

Estrazione di idrocarburi e terremoti emiliani del 2012: forse (molto forse) c'è una connessione?


Visto che sui giornali oggi si legge che su Science è stata lanciata la notizia che secondo la commissione di esperti ci sarebbe un legame fra attività di estrazione di idrocarburi e i terremoti emiliani del 2012, preferisco subito fare delle puntualizzazioni su quanto scritto in quanto mi immagino già gli starnazzamenti e le male interpretazioni (me ne sono già arrivate). Alla fine direi che se quello che dice Science sono le conclusioni della commissione il legame è parecchio debole, sempre che esista. 

Premetto, come ho fatto spesso, che il – anzi i – terremoti emiliani non c'entrano nulla con il fracking, nonostante quello che i disinformati convinti di essere informatissimi continuano a sostenere. Quello che è uscito oggi su Science e ripreso da una serie di media italiani in maniera un po' discutibile è invece una cosa molto seria. Siccome ho in mano proprio l'articolo originale mi sento di fare dei commenti.

Ricordo, per chi non mi conosce, di essere estremamente contrario al fracking per tutta una serie di motivi, principalmente ambientali.
Ho parlato dei terremoti di origine antropica in altri post; in particolare in questo, ho spiegato che in USA la sismicità indotta è un effetto collaterale delle attività petrolifere, perché, almeno quella più forte, non è dovuta alla estrazione di liquidi o gas in sè, ma alla iniezione di liquidi nel sottosuolo che viene effettuata: 
- o per sollecitare la produzione in fase decadente di un pozzo in via di esaurimento
- oppure per stoccare in profondità i liquidi che ritornano in superficie in caso di impiego di tecniche come il fracking (il cosiddetto flow-back, che coinvolge circa il 20% di quanto iniettato). 
Questi liquidi riempiendo i pori del terreno, con la loro pressione vanno a diminuire l'attrito lungo dei piani di faglia: la diminuzione dell'attrito può consentire alla faglia di mettersi in moto provocando terremoti. Questi fenomeni sono cosa nota e sono certificati mica da Cincirinella, ma dal Servizio Geologico degli Stati Uniti, l'USGS. Quindi, per cortesia, gli esponenti della lobby petrolifera ed i loro accoliti non dicano che non è vero.

Allora, siccome ci sono negli USA questi problemi, la costituzione di una commissione per fare luce sulla possibilità di un legame fra i terremoti emiliani e l'attività di estrazione di idrocarburi nell'area è stata un'idea interessante e doverosa.
Sembra, perché il documento stilato da questa commissione non è ancora uscito fuori, che ci siano dei legami anche in Emilia fra sismicità e attività di estrazione di idrocarburi. 

La commissione partirebbe dal fatto che lo stoccaggio di Rivara non c'entra nulla. E ciò non può che essere vero, in quanto le operazioni per realizzarlo nel maggio 2012 non erano ancora incominciate, piaccia o non piaccia a degli invasati disinformati del tipo di quelli di cui all'inizio di questo post. 
Lo stoccaggio di Rivara rappresenta a mio avviso un'opera “estremamente discutibile”, anzi “totalmente folle”. Annoto che proprio l'estate scorsa ci sono stati dei grossi problemi in Spagna (leggasi: sciame sismico di una certa portata) proprio durante l'immissione di gas in un sito di stoccaggio ricavato da un giacimento petrolifero esaurito, motivo per cui era stata sospesa l'operazione di carica del deposito. E quella del mare della Baleari non è una zona in cui insistono faglie attive, come invece lo è l'Emilia. Quindi figuratevi cosa possa pensare dell'idea di stoccare il gas a Rivara... Follia pura, caro onorevole Giovanardi....

In Oklahoma, come in Ohio, è semplice vedere la connessione, dato che quelle non sono zone sismiche, e si vede come all'aumento dei pozzi corriponda un brusco aumento della sismicità (dovuta – ripeto -  non al fracking in se e per se, ma alla reiniezione per stoccaggio nel sottosuolo profondo dei liquidi di flow-back).
L'Emilia – Romagna invece è in zona sismica eccome: sotto la pianura c'è attualmente l'asse di compressione fra la zolla europea e quella adriatica (oddio, europea, per me è una zolla da poco saldatasi a quella europea, vabbè...), con la formazione di pieghe e sovrascorrimenti.  
Per fortuna sembra che la crosta non riesca a sopportare senza rompersi sforzi molto grandi per cui si rompe prima di accumulare energia capace di scatenare terremoti particolarmente distruttivi. Comunque la storia della pianura emiliano - romagnola di eventi sismici ne segnala tanti e taluni con esiti piuttosto importanti. Antonio Mucchi ricorda che già nel 1993 i geologi ferraresi fecero presente che il tempo di ritorno di un evento in zona era prossimo e che non si poteva continuare a fare finta di niente.
Anche il reticolo fluviale ed i suoi spostamenti naturali precedenti alle bonifiche nella pianura delle province di Modena e Reggio Emilia dimostrano che lì sotto c'è una discreta attività tettonica.

Allora, vediamo cosa dice Science.
- in primo luogo che il rapporto non verrebbe reso pubblico per opportunità, in quanto potrebbe suscitare l'opposizione alle attività estrattive delle popolazioni delle zone coinvolte (potrebbe? le innescherà di sicuro)
- in secondo luogo che i terremoti del 2012 potrebbero essere ascritti al campo petrolifero del “Cavone”, posto tra Mirandola e Novi di Modena, una concessione che il Ministero dello Sviluppo Economico indica come sfruttata dalla “Padana Energia”, società appartenente al gruppo “Gas Plus SPA”. La vediamo in questa carta.

Ora, sempre secondo Sciences, il rapporto "non escluderebbelegami fra l'attività a Cavone e i terremoti emiliani.
Vediamo come, quanto e perché.
L'attività estrattiva e la immissione di fluidi nel terreno per permettere il flusso del greggio potrebbero aver provocato dei cambiamenti del campo di sforzi nel sottosuolo. Ma non sarebbero stati sufficienti da soli a provocare il terremoto. 
Quindi l'unica spiegazione possibile capace di giustificare un ruolo effettivo dell'attività estrattiva è che la faglia responsabile della prima delle due scosse principali, quella del 20, fosse già quasi pronta a muoversi e che sarebbe bastato un minimo contributo per innescare il primo dei due terremoti. L'ulteriore riassetto del campo di sforzi dopo la scossa del 20 ha poi innescato la scossa del 29 (che ho percepito benissimo anche io a Firenze).

Quindi, da sole, le variazioni del campo di sforzi non avrebbero potuto innescare il sisma del 20 maggio. C'è la possibilità – forse – che abbiano dato un contributo finale, diciamo la goccia che ha fatto traboccare un vaso che, comunque, sarebbe traboccato da solo qualche tempo dopo. 
In ogni caso la commissione affermerebbe che questo legame dovrebbe essere evidenziato tramite una modellazione che fino ad oggi non è ancora stata fatta. 

Ci sono poi una serie di dubbi.
Come ho sottolineato subito dopo il terremoto del 20 maggio, la faglia che lo ha generato era perfettamente conosciuta e l'INGV considerava già l'area a rischio.
Vediamo in questa carta, ovviamente ricavata con l'Iris Earthquake Browser, la distribuzione degli epicentri del terremoti principale e delle repliche tra i 20 e il 21 maggio 2012: si nota che sono tutte ad est della concessione. La scossa a M 4.2 che si è verificata 3 ore prima quella principale è praticamente nello stesso luogo di quella principale e la collocazione delle repliche indica chiaramente che il piano di faglia si è mosso tra Mirandola e Ferrara, e non coinvolge la zona in cui avviene l'estrazione del petrolio.


Su Science si riporta anche una dichiarazione di un geologo anonimo, il quale, oltre a far notare questa distanza fra gli epicentri e la zona di coltivazione, sottolinea che in precedenza non ci sono stati i benchè minimi accenni di sismicità nell'area della coltivazione e che poi, alla fine, si tratta di solo 500 barili al giorno, 75.000 litri (i quali, aggiungo, sono parzialmente compensati dall'acqua che viene iniettata).

Da ultimo, rimandando a questo post che ho scritto dopo il terremoto delle Apuane di un anno fa, ricordo che gli eventi del maggio 2012 sono facilmente inquadrabili in una fase parossistica della sismicità in tutto il settore nordorientale dell'Appennino Settentrionale.

Tirando le somme, diciamo che sono perplesso. A differenza di tanti che – senza conoscere la materia – sputeranno sentenze del tipo “è assodato che il terremoto emiliano sia dovuto all'estrazione di petrolio” (ce lo vedo Gianni Lannes, per esempio), cosa che NON è evidenziata dal rapporto, io che qualcosa di queste cose mastico tengo un atteggiamento prudente: ritengo in questo caso altamente improbabile una connessione, pur senza escluderla del tutto come contributo marginale.

Resto comunque totalmente contrario alla predisposizione di impianti di stoccaggio di gas in quella zona e continuo ad essere convinto, in generale, che sia necessario governare la iniezione di liquidi nel sottosuolo, in particolare se nel sottosuolo sono presenti delle faglie, anche non attive da decine di milioni di anni.

7 commenti:

Simone ha detto...

Più chiari di così non si poteva essere.
Grazie Aldo per le preziose precisazioni!

Daniela ha detto...

Grazie, molto chiaro ed esauriente.

Anonimo ha detto...

Grazie, sono piu' informato.

Sabrina ha detto...

Quindi, se ho capito bene, il fracking avrebbe soltanto aggravato minimamente la zona già di per sè sismica, ma non sarebbe stato sicuramente il fattore scatenante. Grazie Aldo per la tua spiegazione!

Aldo Piombino ha detto...

il fracking non ha fatto nulla perché come vsda ripeyenfo ds anni.IN EMILIA NON SI ESTRAGGONO IDROCARBURI CON IL FRACKING ma SOLO con tecniche tradizionali.
src
Dopodiche si, l'estrazione ma fose piú li operazioni di iniezione di liquidi a scopo di aunentare la oroduzione potrebbero FORSEaver inflyito in wuslche modo

GabriG ha detto...

Forse dovresti correggere l'anno nel titolo :-)
A parte questo, articolo molto interessante, grazie.

Aldo Piombino ha detto...

rimando il commento di stamattina perchè loo avevo fatto con il telefono e ci sono diversi errori-

Il fracking non ha nula a che vedere con l'Emilia perchè come vado ripetendo da anni, IN EMILIA NON SI ESTRAGGONO IDROCARBURI CON IL FRACKING ma SOLO con tecniche tradizionali.

Dopodiche si, l'estrazione ma forse piú le operazioni di iniezione di liquidi a scopo di aunentare la oroduzione dei pozzi potrebbero FORSE aver influito in qualche modo anche se in maniera marginale. Secondo gli autori del rapporto è possiibile che quel pochissimo sia stato proprio quello sforzo residuo necessario che aggiungendosi a quello presente già per cause naturali ha provocato la scossa del 20.